Trastevere
Al tempo della fondazione di Roma la zona di Trastevere era una terra ostile che apparteneva agli Etruschi di Veio, contesa con la neonata città perché strategica per il controllo del fiume, del guado dell’Isola Tiberina e dell’antico porto fluviale. Il rione è sempre stato popolare e ha mantenuto intatto questo carattere anche nei secoli successivi: non vi risiedettero cardinali, non vi sorsero chiese sontuose né furono creati palazzi della grande aristocrazia papalina ma di una più modesta nobiltà cittadina. L’intervento più importante fu, nel 1886, l’apertura del “viale del Re”, poi “viale del Lavoro” ed infine viale Trastevere, per congiungere, attraverso un nuovo ponte (ponte Garibaldi, aperto due anni dopo), via Arenula con la stazione ferroviaria che doveva essere il terminale dei collegamenti con il nord lungo il Tirreno e che venne subito declassata a favore di Termini.
Roma
Narra la leggenda che Ascanio, figlio dell’eroe troiano Enea (discendente di Venere e del mortale Anchise), fondò la città d’Alba Longa sulla riva destra del Tevere. Qui regnarono molti dei suoi discendenti, fino a quando raggiunsero il potere Numitore e suo fratello Amulio. Quest’ultimo si appropriò del trono e costrinse l’unica figlia del fratello, Rea Silvia, a diventare vestale e a far quindi voto di castità, in modo da non poter procreare, evitando di generare pretendenti alla corona. Marte, il dio della guerra, si invaghì della fanciulla e dopo averla posseduta la rese madre di due gemelli, Romolo e Remo. Amulio ordinò ai suoi soldati di uccidere i due bambini, ma questi per pietà li risparmiarono e li abbandonarono in una cesta lungo il Tevere. Una lupa, attirata dai vagiti dei due bambini, li raggiunse e li allattò nella sua tana del monte Palatino, fino a quando furono trovati da un pastore che insieme a sua moglie li adottò. Ormai adulti, i gemelli uccisero Amulio e riconsegnarono il potere d’Alba Longa al nonno Numitore e, come colonia di quest’ultima, fondarono una città nei pressi della riva destra del Tevere, nel luogo in cui erano stati allattati dalla lupa. Si ipotizza che la lupa che allattò Romolo e Remo fu, in realtà, la loro madre adottiva. Il termine lupa era infatti utilizzato per indicare le prostitute.
La leggenda racconta, inoltre, di come Romolo uccise Remo. Vicino alla foce del fiume vi erano sette colli, chiamati Aventino, Celio, Capitolino, Esquilino, Palatino, Quirinale e Viminale. Romolo e Remo non giungevano a un accordo sulla scelta del luogo di fondazione della loro città e lasciarono decidere al fato, osservando, secondo il metodo etrusco, il volo degli uccelli. Romolo ne vide dodici sul Palatino, mentre Remo solo sei su un’altra collina. Per delimitare la nuova città, Romolo tracciò un perimetro con l’aratro nell’area del monte Palatino e giurò che avrebbe ucciso chiunque avesse cercato di superare il confine. Remo disubbidì all’ordine di Romolo e attraversò con disprezzo la linea tracciata dal fratello. Fu così che Romolo lo uccise, diventando il primo e unico re di Roma. Ciò avvenne nel 754 a.C., secondo quanto riferito dalla storiografia antica.
Isola Tiberina
La sua isola, l’Isola Tiberina, unica isola urbana del Tevere, ospita uno degli ospedali più antichi della Capitale, il Fatebenefratelli, voluto da Papa Gregorio XIII nel 1585. Qui, vennero introdotte innovazioni sanitarie rivoluzionarie, come la suddivisione dei malati in reparti specializzati in una determinata patologia. L’Isola Tiberina è lunga circa 300 metri e larga circa 90, dal I secolo a.C. ha la forma di una nave, ed è collegata alla terraferma dal Ponte Cestio, risalente al 46 a. C. e dal Ponte Fabricio, edificato nel 62 a.C. Il nucleo dell’isola è costituito di roccia vulcanica, sulla quale si sovrappose, successivamente, una notevole massa provocata dalle alluvioni.
Anche i ponti, infatti, sono una delle attrazioni della città; alcuni risalgono addirittura all’epoca romana e sono ancora percorribili dopo migliaia di anni.
Oltre ai già citati Ponte Cestio e Ponte Fabricio, segnaliamo anche Ponte Sant’Angelo, l’antico Ponte Elio costruito nel 134 dall’imperatore Adriano, in seguito adornato dagli angeli di Bernini che sembrano aprirci la strada verso l’imponente Castel Sant’Angelo, e punto privilegiato da cui osservare la Basilica di San Pietro, e Ponte Milvio, anche conosciuto come Ponte Mollo, edificato nel I secolo a.C.
Ponte Fabricio, noto anche come ponte dei Quattro Capi o Pons Judaeorum. Si tratta di uno dei due ponti della Capitale che non collega direttamente le sponde opposte del fiume: come il suo limitrofo ponte Cestio, infatti, mette in comunicazione l’Isola Tiberina con una delle due sponde, nella fattispecie quella sinistra, all’altezza di lungotevere De’ Cenci. Molto ben conservato, è il più antico della capitale esistente nella sua composizione originaria. Misura 62 metri in lunghezza e 5,5 in larghezza. Nelle quattro arcate si trovano quattro iscrizioni che attestano la costruzione da parte di Lucio Fabricio, un curatore delle strade, nel 62 a.C., poi restaurato in epoca romana a causa di una piena del fiume.
Nel XVI secolo per la sua vicinanza al Ghetto fu conosciuto anche come ponte dei Giudei; nei pressi infatti si trova la chiesa di San Gregorio dove erano tenute, durante il regno pontificio, le prediche obbligatorie per gli ebrei. Una delle erme è raffigurata nel vicino monumento dedicato a Giuseppe Gioacchino Belli nel quartiere Trastevere, che mostra il poeta romanesco appoggiato al parapetto del ponte. Una leggenda popolare racconta che il nome “Quattro Capi” sia dovuto ad una profonda discordia fra quattro architetti, che, incaricati da Sisto V del restauro del ponte, finirono per passare alle vie di fatto per futili motivi e, per questo, il Papa, alla fine dei lavori, li condannò alla decapitazione sul posto facendo però erigere, a ricordo del loro lavoro, un monumento con quattro teste in un unico blocco di marmo; tuttavia è da notare che essendo presenti due erme quadrifronti, i volti raffigurati sarebbero otto.
La torre è nota come “Torre della Pulzella” per la piccola testa marmorea raffigurante una giovinetta inserita nel paramento di mattoni, databile al I secolo d.C. Il palazzo fu residenza della famiglia Pierleoni fino al XII secolo, quando passò ai Caetani che ne fecero la loro residenza dopo averci costruito intorno diversi palazzetti ed aver inglobato nel complesso anche la chiesa di S.Bartolomeo. La famiglia risiedette qui fino al 1470. Nel 1639 l’edificio fu rilevato dal cardinale Barberini che, dopo averlo restaurato, lo donò al convento dei frati Minori francescani, i quali lo destinarono principalmente all’assistenza dei malati, tanto che negli anni successivi al 1656, dopo la tremenda pestilenza abbattutasi su Roma, l’edificio era comunemente conosciuto con il nome di “Lazzaretto Brutto”. Dal 1986, a seguito di una delibera comunale, il palazzo è stato designato a sede del Museo Storico dell’Isola Tiberina.
Mulini sul Tevere
Per secoli e fino alla costruzione dei muraglioni e degli argini del Tevere, avvenuta dopo il 1870, ai due lati dell’isola vi erano mulini installati su zattere: vecchie litografie mostrano le piccole costruzioni galleggianti che quotidianamente macinavano la farina per il pane sfruttando la corrente, la quale, però, a volte diventava troppo impetuosa e se le portava via. I mulini furono parte del paesaggio teverino per più di 1300 anni, fino alla vigilia dei lavori di arginatura del fiume e le più antiche tracce furono ritrovate sul ramo sinistro del fiume, sebbene meno sfruttato di quello destro, per via del ridotto deflusso acquifero. Ponte Cestio deve uno dei suoi nomi, “Ponte Ferrato“, proprio alle tante catene, di ormeggio dei molini, che lo circondavano.
Intorno all’800, lungo le sponde del Tevere si potevano contare ben 11 mulini, di due tipologie: i tradizionali galleggianti e i cosiddetti “terragni“, cioè collocati su terra ferma. Quest’ultimi erano manufatti in muratura, di dimensioni maggiori rispetto a quelli su acqua, potendo così fungere da fienili, depositi o stalle. L’ultima mola terrigna, di cui si ha notizia, era collocata e censita ai civici 43 e 44 di via delle mole di S. Bartolomeo, una delle strade, adiacenti il Tevere, che proprio dalla presenza dei mulini prendevano il nome, come via della Mola di S. Francesco nell’Isola Tiberina e via della Mola dei Fiorentini. Molto nota, in alcuni scritti, la «mola di S. Andrea al Portone delli Hebrei», in quanto situata in corrispondenza di una delle 5 porte che chiudevano il Ghetto ebraico, costituito a metà ‘500 con Bolla Papale.
San Bartolomeo all’isola
Al centro della piazza una colonna, denominata “la colonna infame” perché qui veniva affissa una tabella (l’uso durò fin dopo il 1870) nella quale erano indicati i “banditi che nel giorno di Pasqua non partecipavano alla messa eucaristica”. Anche Bartolomeo Pinelli incappò nell’ostracismo ma “er pittore de Trastevere” andò su tutte le furie, non perché additato come miscredente, bensì per il fatto che gli avevano storpiato la qualifica professionale, scrivendo sulla tabella “miniaturista” anziché “incisore”. Nel 997 l’imperatore Ottone III volle onorare il martire S.Adalberto di Praga costruendo, ed a lui dedicando, una chiesa sulle rovine del tempio di Esculapio dove si trovava una fonte d’acqua miracolosa. Quando, nel 1180, la chiesa accolse il corpo di S.Bartolomeo Apostolo, l’appellativo cambiò in S.Bartolomeo. Nel Medioevo ritornò, come ai tempi pagani, la favola “dell’acqua salutare” che guarisce ogni male ma l’acqua, tratta dal pozzo, risultò inquinata e faceva morire la gente anziché guarirla: il pozzo venne chiuso con due sbarre incrociate e così si trova ancora oggi. Nella parete di sinistra della chiesa è conservata una palla di cannone di cm 14 di diametro che colpì la chiesa, gremita di fedeli, durante l’assedio francese di Roma del 1849, senza che alcuno rimanesse ferito: per questo fu ritenuta miracolosa e murata nel punto dove cadde.
Piazza in Piscinula
E’ così denominata per l’antica presenza di uno stabilimento termale con vasche o piscine (“piscinula” è un diminutivo) delle quali Roma in passato era colma e che davano il nome a molte località, la piscinula era annessa alla casa degli Anici. Sulla piazza, un angolo magico di antica memoria medioevale se non fosse ridotta a misero parcheggio, si affacciano le quattrocentesche Case Mattei, realizzate inglobando edifici del Trecento già di proprietà Mattei, un altro ramo della famiglia insediatosi intorno alla piazza Mattei. I primi Mattei costruirono il loro palazzetto, ancora visibile con il loro stemma con lo scudo con la banda obliqua, prospiciente la Piazza in Piscinula. Nella vicina chiesa di San Benedetto in Piscinula è conservata la più antica sepoltura della famiglia. Il palazzetto aveva una funzione di controllo, perché la gens Mattheia detenne sin dal 1271 e fino alla sua estinzione, la carica di “Guardiano perpetuo dei ponti e delle ripe”, che imponeva, ogniqualvolta moriva un papa, di reclutare cento uomini dai loro possedimenti, vestirli di uniforme rossa (da cui il nome di soldati rossi) e armarli al fine di custodire la Porta Portese, che dava accesso diretto sul lato del Vaticano, e il porto fluviale (ripa) di Ripa Grande, oltre a tenere sotto controllo il transito su tutti i ponti di Roma anche esigendone un pedaggio. Nel 1870 l’edificio ospitò la “Locanda della Sciacquetta“, un termine poco glorificante che indicava la presenza di un bordello.
Sul versante opposto della piazza si trova la chiesa di S.Benedetto in Piscinula, sorta nel 543 sulle rovine della “domus Aniciorum” (o “casa degli Anici”), una nobile ed antichissima famiglia romana alla quale è appartenuto anche S.Benedetto da Norcia (al quale infatti la chiesa è dedicata), che vi ha abitato durante il suo soggiorno romano nel 470. Bello e caratteristico il campanile, il più piccolo di Roma, che conserva anche la più antica campana di Roma datata 1069.
Al civico 19 è situato Palazzetto Nuñez, un antico edificio risalente alla metà del Cinquecento quando vi si apriva la “Locanda in Piscinula”, che aveva come insegna un lume. In questa locanda trascorse gli ultimi giorni della sua vita la poetessa e letterata, nonché cortigiana, Tullia d’Aragona, figlia di Ludovico d’Aragona, nipote del re Alfonso II di Napoli. A quell’epoca risale anche l’edicola sacra con “Madonna, Gesù Bambino e S.Giovanni” sull’angolo del palazzetto con via in Piscinula.
Arco dei Tolomei
Di Trastevere medioevale, come del resto di quello rinascimentale, resta assai poco. E’ presente ancora nelle case davanti alla basilica di Santa Cecilia, in via della Lungaretta, in vicolo dell’Atleta. Un punto assai suggestivo e caratteristico dell’antico rione è dato dall’Arco dei Tolomei, tra via dei Salumi e piazza in Piscinula.
L’Arco, di origine medioevale, ma ampiamente rimaneggiato nel 1928, come ricorda la scritta sopra le due finestre in alto (Anno Sexto MDCCCXXVIII AMPL. ET. REST), prende il nome dalla importante famiglia senese dei Tolomei, che si stabilì a Roma dal 1358.
L’Arco, tutto in laterizio, assolve più propriamente alla funzione di sottopassaggio di esclusiva utilità pubblica. Una disposizione del 1250 imponeva che gli archi dovessero avere un’altezza minima tale da consentire ad una donna, con in capo un recipiente grande e uno piccolo, di passarvi sotto comodamente. Nei pressi di questo complesso fu fondata dall’avvocato Michele Gigli (1790-1837) una delle prime scuole notturne di Roma, per i giovani artigiani poveri che quivi “imparavano a leggere, scrivere e far di conto”. Al termine delle lezioni, prima di tornare a casa, gli alunni venivano condotti a pregare e a cantare inni sacri davanti ad una immagine della Vergine in piazza della Gensola. Sempre in questa zona nel 1888 fu aperto, in un locale provvisorio, l’Asilo Savoia per l’infanzia abbandonata con un primo nucleo costituito da 20 bambini.
Sulla destra dell’Arco si nota la muratura antica di una costruzione, attualmente soltanto in laterizi, che si evidenzia per il totale distacco dell’intonaco: è l’antica Torre dei Tolomei, risalente al XIII secolo, oggi irriconoscibile a seguito della perdita dei piani alti, perciò più bassa degli edifici adiacenti, di età moderna. Su via dei Salumi, ai numeri 24b e 26 si eleva un imponente palazzo – con portone bugnato tardo rinascimentale, ora murato – sovrastato da una loggia – pure chiusa – e balcone su mensole, rafforzato nello spigolo da bugne. In angolo una piccola finestra quattrocentesca. Potrebbe essere ciò che resta della dimora della famiglia Tolomei.
Via dei Vascellari prende il nome dai vasellai, ovvero gli artigiani che fabbricavano e vendevano i vasi di terracotta (detti anche “vaselli”, cioè piccoli vasi), che in questa strada avevano i loro fondachi. Al civico 61 di questa via è situato palazzo Ponziani, un edificio importante dal punto di vista storico, sia perché risale all’epoca medioevale (fu costruito intorno al Trecento) sia perché fu la casa dove visse e morì Francesca Bussa, ovvero S.Francesca Romana. Francesca sposò a soli 12 anni Renzo Ponziani, della ricca famiglia di “macellari” romani, e qui visse insieme ai suoceri. Fu un matrimonio di interesse ed infatti il suo unico pensiero fu quello di compiere opere di bene, seguita in questo dalla cognata Vannozza. Così palazzo Ponziani divenne un ritrovo per poveri ed affamati, dove Francesca impegnava tutti i mezzi finanziari della famiglia.
Vicolo dell’Atleta collega via dei Salumi a via dei Genovesi ed il suo nome deriva dal ritrovamento, avvenuto nel 1849, della statua dell’atleta detto “Apoxyòmenos“, dal greco “colui che si deterge“, Il giovane, infatti, è raffigurato proprio nell’atto di detergere il braccio destro con la mano sinistra mediante un attrezzo chiamato strigile, a lama ricurva, perlopiù in bronzo, ma spesso anche in argento o avorio, che gli antichi utilizzavano appositamente per pulire la pelle dall’olio, dal sudore o dalla polvere, dopo un bagno, una gara o una lotta. Il vicolo assunse il nome attuale nel 1873 dopo il ritrovamento della statua, ma un tempo si chiamava “vicolo delle Palme”, per la presenza di questi alberi, simboli della Giudea, posti dinanzi alla vecchia “Sinagoga” degli ebrei: fu proprio in questo vicolo, infatti, che si stabilì, fin dai tempi della Repubblica, il primo nucleo della comunità ebraica, prima del suo spostamento nel rione S.Angelo, avvenuto nel periodo medioevale. La Sinagoga fu fondata intorno al 1.100 dove oggi è situata una bella casa medioevale, con loggia ad arcate su colonne ed una cornice ad archi su mensolette in pietra: la colonna centrale dell’arcata presenta ancora oggi alcuni caratteri ebraici scolpiti nel marmo.
Basilica di S.Cecilia
La Basilica di S.Cecilia sorge sulla casa della martire romana Cecilia e di suo marito Valeriano. Gli scavi sotto la chiesa, effettuati durante il restauro del 1899, evidenziarono effettivamente un gruppo di antichi edifici di età repubblicana con muri in opera quadrata di tufo ed una colonna dorica. S.Gregorio Magno fece costruire la basilica primitiva nel VI secolo. La Passio di S.Cecilia narra che la giovane fosse stata data in sposa al nobile Valeriano, che convertì nel giorno del matrimonio comunicandogli il suo voto di castità. Valeriano ed il fratello Tiburzio, anch’esso convertito al cristianesimo, si dedicavano alla sepoltura dei corpi dei martiri cristiani che incontravano lungo la strada, contravvenendo ad un ordine del prefetto Almachio e per questo motivo vennero arrestati e, dopo atroci torture, decapitati. Cecilia, che pregava sulla tomba del marito e del cognato, venne chiamata davanti al prefetto che ne ordinò la morte per soffocamento nella sua stessa camera da bagno (oggi i sotterranei della chiesa, dove tuttora si trova il “calidarium“). Dopo un giorno ed una notte, però, la giovane non era ancora stata soffocata dai vapori caldissimi ed allora il prefetto ordinò che venisse decapitata: tre colpi di spada non riuscirono a staccarle la testa dal collo ed il boia la lasciò sul patibolo nel suo sangue. Cecilia morì dopo tre giorni di agonia duranti i quali convertì tutti i suoi familiari al cristianesimo. Il corpo della santa venne rinvenuto nelle catacombe di S.Callisto, miracolosamente intatto ed avvolto in una veste candida trapuntata d’oro. La celebre statua marmorea della santa è di Stefano Maderno, situata di fronte all’altare e riprodotta nella medesima posizione in cui fu ritrovata: è interessante osservare la posizione delle dita che indicano la Trinità, ovvero l’indice alzato della mano sinistra ed il pollice, l’indice ed il medio alzati della mano destra.
Si Trova nella nella Basilica l’altro Giudizio Universale di Roma. L’autore fu Pietro Cavallini. Ma la cosa interessante è che questo dipinto rappresenta, ancor oggi, una delle più importanti innovazioni pittoriche di sempre, per l’evidenziazione del volume della carne e per l’invenzione della prospettiva contesa a Giotto.
Il portale immette in un vasto cortile in mezzo al quale si trova una vasca quadrata sormontata da una grande anfora in pietra di origine paleocristiana, ricavata da un antico “cantharus“, ovvero un vaso per le abluzioni rituali che i fedeli utilizzavano prima di entrare in chiesa, il cui ricordo resta nel nostro uso di bagnare le dita nella vasca dell’acqua benedetta. Il giardino è chiuso sui due lati dal monastero delle suore francescane a destra e da quello delle suore benedettine a sinistra.
La caratteristica casa-torre medioevale, situata ad angolo tra piazza di S.Cecilia e piazza dei Mercanti, risale alla seconda metà del XIII secolo. Vi ha soggiornato il famoso capitano di ventura Ettore Fieramosca, reduce dalla disfida di Barletta del 13 febbraio 1503, prima di partire al seguito di Prospero Colonna per trasferire in Spagna, nel maggio del 1504, il prigioniero Cesare Borgia.
Oggi veramente un bel giro accompagnati da Brunno che è stato sicuramente all’altezza delle aspettative.
Tutti noi avevamo paura per il caldo, ma in realtà la giornata ci ha regalato una mattinata abbastanza mite e ventilata. Trastevere si è rivelato dei scorci fenomenali, riportandoci indietro nel tempo.
Anche la visita alle chiese accessibili, è stata una piacevole sorpresa.
Alla prossima.